Novembre 2015. L’ottava inizia negativamente per le commodities e finisce peggio, a causa del calo degli indici azionari e dal sconfortante quadro macroeconomico.
Il dato sul Pil dell’area euro evidenzia un rallentamento dei già tenui segnali di ripresa e un calo dell’inflazione. Ad amplificare le preoccupazioni è sufficiente pensare al brillante dato sul mercato del lavoro Usa di sette giorni prima. Lo SP500 è tornato sui 2000 punti, perdendo circa il 3%, il greggio è in calo del 5% a 42 dollari al barile. Scende anche l’oro a 1180 dollari l’oncia.
Un calo generalizzato al punto tale che ogni tentativo di ripresa è considerato un’opportunità di vendita. Questo ragionamento vale soprattutto per i metalli non ferrosi. Rame e zinco hanno raggiunto prezzi che non si vedevano dal 2009. Il metallo rosso ha toccato 4800, mentre lo zinco ha rivisto i 1550 dollari per tonnellata. Più contenute le perdite dell’alluminio. Nickel sotto i 9500. Moneta unica a 1,08 contro il biglietto verde.
La settimana a Piazza Affari
L’indice Ftse Mib registra una perdita del 3,05% a 21.842 punti, mentre l’All Share segna un -2,78%. Tra i peggiori i bancari con Mediaset che perde l’11,34%, Monte Paschi (-8,65%), Carige (-8,64%).
Tra gli energetici Enel scende del 2,72%, Eni (-3,56%) e Snam (-3,91%).
Perdite significative anche nel lusso, Ferragamo (-10,67%), Geox (-10,63%), Yoox (-3,56%), Moncler (-3,51%).
Il dato preoccupante è che l’Italia cresce meno del previsto ad un ritmo inferiore rispetto i primi mesi dell’anno. Tra luglio e settembre l’Istat ha stimato un Pil dello 0,2%. Un decimo di punto in meno che rischia di mettere a repentaglio il target del Governo (0,9%). A frenare la ripresa è stato il rallentamento delle esportazioni in Cina e Russia. In più la locomotiva tedesca non traina più come una volta. Il +0,2% è merito solo del mercato interno, con investimenti e consumi in positivo. Francamente un po’ troppo poco per parlare di ripresa economica.
